sabato 16 aprile 2011

Il Dolore

Riflessioni sul perchè del dolore
Il dolore diventa causa di conoscenza se vissuto in silenzio, in forma mistica, perché, in questo modo si ha la possibilità di guardare nel fondo dell’anima e ritrovare la propria dimensione spirituale.
Il dolore serve ad imprimere nel nostro spirito il ricordo-conoscenza di un fatto.
Il dolore è lacerazione, ferita che lascia una cicatrice pronta a sanguinare nuovamente se si ipotizza il ritorno di una situazione simile a quella che l’ha prodotta.
Il dolore causa un oscuramento totale nel fondo dell’anima, buio, ma non è mai un buio totale, c’è sempre un punto di luce che se fissato lentamente ma inesorabilmente si espande sino a vincere le tenebre.

Il dolore è separazione.
La rottura dell’unità crea la dualità: essere e non essere, bello e brutto, ecc.
A tale riguardo vale la pena ricordare il significato profondo della metafora del Peccato Originale: l’uomo, nutrendosi dei frutti dell’albero della sapienza, accede alla comprensione consapevole («Ed essi si conobbero nudi…»), identificandosi col proprio Io psicologico; e si ritiene altro da Dio, che viene quindi trasformato in ente-altro, se non addirittura idolo da adorare. Questa separazione trova un’importante conferma semantica e concettuale nella parola diavolo: dal greco dia-ballo, separare. Il diavolo: colui che separa e divide l’uomo dalla sua radice spirituale. Il dolore è il prezzo che dobbiamo pagare per questa frattura che si è venuta a creare.
Il dolore può essere vinto tramite la conversione: percorso di ritorno dal molteplice all’Uno.
Il dolore deriva dall’attaccamento.
In questo nostro mondo niente esiste come separato dal resto. La realtà può essere rappresentata da un modello a "rete" tridimensionale, in cui ogni fenomeno contenente e contenuto è in continua e costante relazione con la totalità degli altri fenomeni. Ecco perché «la forma è vacuità, e la vacuità è forma»: perché ogni forma è vuota in quanto definibile e verificantesi solo in relazione ad altre forme. Risulta ovvero determinata da ciò che essa non è.
Il dolore che segna l’esistenza deriva da una non-retta visione della Realtà, dalla disconoscenza della realtà come Uno, e dalla conseguente illusoria, frustrante ricerca di simulacri di sostanzialità e permanenza del e per il nostro Io. Di nuovo: un peccato originale. Un errore iniziale di interpretazione, continuamente rinnovato, e causa di dolore.

Come vincere il dolore.
La via indicata per la liberazione dal dolore dal cristianesimo, ma anche dal Buddismo e da altre religioni, è la via del distacco e della disappropriazione. Quel rifuggire «dal furore dell’incostanza delle cose transitorie».Quel porre in discussione un Io che secoli di cultura ci hanno abituato a considerare come la nostra essenza qualificante, ma che invece non può essere considerato tale. Anzi: proprio il distacco dai vincoli dell’Io definisce e prospetta il cammino di liberazione. Lo scioglierlo nell’infinito oceano dell’Essere-Uno, così come l’onda, una volta formatasi, ritorna nell’indistinto del mare, senza perché e senza tentare in alcun modo di perpetuare la propria transitorietà, che ne definisce l’essenza.

La vita?
La vita è fatta di dolore e di gioia, di cose belle di cose brutte, la si viva con gioia e serenità in attesa che ciò che gli si contrappone giunga. La morte è dolore e fa paura, non può essere altrimenti perché conseguenza di una separazione. E’ la fede in Cristo Risorto la certezza del ritorno all’Uno.

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