sabato 14 maggio 2011

Andromaca


Andromaca è uno dei personaggi più affascinanti della mitologia greca, i tragici eventi di una guerra, che la privano degli affetti più cari, fanno di lei il simbolo di tutti gli esiliati.
Andromaca rappresenta la donna nei suoi aspetti più tragici,  è  non solo una delle prime grandi figure di  sposa dolorosa, ma anche  di donna separata dai suoi  cari, umiliata, strappata alla sua casa, alle sue origini, ridotta alla sorte di un qualsiasi bottino di guerra spartito brutalmente tra i vincitori.
 La figura di Andromaca compare per la prima volta nel VI libro dell'Iliade   mentre scongiura  inutilmente il marito Ettore di non   battersi con Achille, lo vedrà morire atrocemente   in quell’ ultimo duello sotto le mura della città. E’ l’inizio dei suoi dolori.
 Caduta Troia, le viene strappato dalle braccia il figlio Astianatte per essere lanciato dalle mura della città da Neottolemo. Preda di guerra diventa schiava e concubina del re dell’Epiro.

Andromaca racchiude nella sua figura l’impotenza e la sofferenza di una donna, da personaggio letterario diventa simbolo   della donna separata dai suoi cari, umiliata, strappata alla sua casa, alle sue origini, ridotta alla sorte di un qualsiasi bottino di guerra.
E tornerà ad abitare la poesia - da Virgilio a Racine, per fare soltanto qualche nome. Ma è forse Baudelaire il poeta che grida il suo nome più forte e più alto di tutti, in una meravigliosa poesia di "Les fleurs du mal" intitolata "Le Cygne" - Il cigno.


Baudelaire scrive Le Cygne nei giorni in cui il centro di Parigi è sconvolto dalle grandi demolizioni di molti vecchi quartieri popolari per far posto al nuovo sistema centralizzato dei grandi boulevards. «La vecchia Parigi è scomparsa (la forma di una città / cambia più in fretta, purtroppo, del cuore di un mortale)»... Ma in questo scenario sconvolto la figura di Andromaca in esilio folgora l'immaginazione del poeta. «Andromaque, je pense à vous!». «È a te che penso, Andromaca!» così incomincia Le Cygne - mentre il poeta ha davanti agli occhi un povero cigno scappato dalla sua gabbia, e intento a cercare disperatamente un corso d' acqua degno del suo corpo maestoso tra gli sporchi rigagnoli che scorrono tra le rovine delle demolizioni. La condizione di Andromaca in esilio, lungo la riva di fiumi sconosciuti, è paragonata a quella del nobile animale ridotto in cattivo stato da un destino avverso  - «Tesa la testa avida sul collo convulso / Come se stesse lanciando rimproveri a Dio».

 La seconda parte della poesia inizia con la descrizione di Parigi che viene stravolta in nome dell’efficienza: «Parigi cambia - non è cambiato niente nella mia melanconia»... E, alle spalle di quella coppia simbolica formata da Andromaca in esilio, ridotta a preda di guerra, e dal cigno nel fango, viene evocato, tutto un corteo di creature umiliate e offese. « penso a chi   ha perduto ciò che non ritorna mai! mai! A coloro, che il pianto disseta  

e che il Dolore allatta come una lupa buona!...».

Ultima figura che si affianca ad Andromaca è quella di un'africana immigrata a Parigi, il suo presente era rimpiangere il passato,il mito e la storia si sono ricomposti in lei: «Penso alla donna nera, dimagrita e tisica,

che strascica i piedi  nel fango, gli occhi stravolti, che cercano le palme assenti dell’Africa superba dietro ad un’ immensa muraglia di foschia». Il circolo è chiuso. Il Cigno-Andromaca-l' africana a Parigi. La sconfitta, la perdita, la decadenza, il rimpianto. E tutto questo non tanto come condizione occasionale, riportabile a vicende particolari, tutto questo come una specie di condizione di fondo per le grandi masse che vivono in una metropoli, lacerata da contraddizioni inconciliabili tra le pretese spietate dello sviluppo industriale e le fragili esigenze di masse sempre più grandi di persone che si vedono coinvolte, costrette da un ambiente completamente nuovo e, per molti aspetti, ostile, duro, violento.



Il cigno


 A Victor Hugo


I


È a te che penso, Andromaca! Quel ruscello sottile,
 misero opaco specchio dove un tempo rifulse,
 immensa, la maestà del tuo dolore vedovile,
 quel falso Simoenta, gonfiato dal tuo pianto,
 ha fecondato a un tratto la mia fertile memoria,
mentre attraversavo il nuovo Carrousel.
 Muore la vecchia Parigi (ahimè, il volto d’una città
muta più rapido  d’un cuore mortale);
solo nel ricordo vedo quel campo di baracche,
mucchi di capitelli sbozzati e colonnine,
gran blocchi che le pozze inverdiscono, erbacce
e confuse anticaglie luccicanti in vetrine.
Là, un tempo sorgeva un serraglio;
è là che vidi, un giorno, sotto un cielo diafano
e gelido, nell’ora in cui il Lavoro è al risveglio
e lo spazino  alza nell’aria un cupo uragano,
un cigno che, scappato dalla sua voliera,
raspando con i piedi palmati sul selciato,
trascinava piume bianche sulla scabra terra.
La bestia a becco aperto in un rivo seccato
bagnava nervosamente le ali nella polvere,
dicendo in cuor suo, colmo del bel lago natale:
“Acqua, quando cadrai? Quando tuonerai, folgore?”
Rivedo quell’infelice, mito fatale e strano,
come l’uomo d’Ovidio,tendere la testa  sopra il contorto collo
verso il cielo sarcastico, crudelmente azzurro,
come se rivolgesse dei rimproveri a Dio.


II


Parigi cambia! Ma nella mia malinconia
niente muta! Impalcature, massi, nuovi edifici,
vecchi sobborghi, tutto  per me diventa allegoria,
e i miei cari ricordi  sono più duri delle selci.
Così, davanti al Louvre, un’immagine m'opprime:
penso al mio grande cigno, e ai suoi folli gesti,
come ad un esiliato, ridicolo e sublime
e roso senza tregua da un desiderio! E penso te,
Andromaca!  dal braccio di un grande sposo
caduta, vile bestia, al fiero Pirro in mano,
china in estasi sopra un sepolcro vuoto,
vedova d’Ettore, ahimè! E d'Eleno consorte!
Penso alla donna nera, dimagrita e tisica,
che strascica i piedi  nel fango, gli occhi stravolti, che cercano
le palme assenti dell’Africa superba
dietro ad un’ immensa muraglia di foschia;
penso a chi   ha perduto ciò che non ritorna
mai! mai! A coloro, che il pianto disseta  
e che il Dolore allatta come una lupa buona!
Penso agli orfanelli magri e, come fiori, appassiti!
Così nella foresta ove la mente si esula
il corno risuona alto il richiamo di un Ricordo antico!
E penso ai marinai su un'isola obliati,
ai prigionieri, ai vinti! … e ad altri, ad altri ancora!
Charles Baudelaire






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